Nino Ricci

Il fratello italiano

COD: c9e1074f5b3f Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
31
Pagine:
288
Codice ISBN:
9788881121274
Prezzo cartaceo:
€ 14,00
Data pubblicazione:
14-12-2000

Traduzione di Gabriella Jaco­bucci

Il fratello italiano, ideale capitolo conclusivo della trilogia autobiografica iniziata con Vite dei santi, che ha rivelato il talento narrativo dell’italocanadese Nino Ricci, è la storia del ritorno in patria di Vittorio Innocente. Il romanzo inizia a Toronto, dove Vittorio – che ora si chiama Victor – ritrova Rita, la sorella nata da una relazione adulterina della madre. I due, cresciuti solitari nella cupa famiglia del padre, un contadino emigrato in Canada negli anni Cinquanta, si avvicinano l’uno all’altra nel tentativo di creare un rapporto fraterno che non hanno mai avuto e di mettere insieme quello che resta di una famiglia. Il sentimento che li unirà, invece, sarà più complesso, e segnerà drammaticamente soprattutto Vittorio. Rita allora si allontana da Toronto e Vittorio, rimasto nuovamente solo, decide di tornare, dopo vent’anni, a Valle del Sole, al punto di partenza. Ma nel paese più niente corrisponde all’immagine che per tanti anni si era portato dietro.

«Il più importante romanziere italo-canadese degli anni Novanta […] Il terzo libro della trilogia conferma una maturazione letteraria affinatasi di opera in opera».
Carlo Pagetti, «Alias – il manifesto»

IL FRATELLO ITALIANO – RECENSIONI

 

Mario Baudino, LA STAMPA
– 16/05/2003

 

INCONTRO CON NINO RICCI: IL SUO ROMANZO SULL’EMIGRAZIONE DIVENTERÀ IN AUTUNNO UNA FICTION CON LA LOREN

 

IL personaggio che gli ha dato una gran fama letteraria si chiama Vittorio. È un bambino nato in Molise, che raggiunge il padre emigrato in Canada e, dopo una difficile integrazione, spinto dalla nostalgia, dal desiderio di recuperare il proprio passato e anche dalla frustrazione per un rapporto piuttosto complicato con la sorella, torna ormai adulto in Italia, alla ricerca di una impossibile pacificazione. È una storia epica, ora sentimentale ora introspettiva, persino diseguale ma trascinante, di quelle che fanno piangere e ridere: si distende per tre romanzi di Nino Ricci, uno degli autori canadesi ospiti alla Fiera, fra i più amati nel suo Paese, molto tradotto all’estero ma ancora in ombra da noi, dove Fazi gli ha pubblicato, col titolo Il fratello italiano, il volume conclusivo della trilogia. Il primo, Vita dei santi, benché fosse stato un successo internazionale, era uscito in traduzione da un piccolo editore di Vibo Valentia. Presto Ricci potrebbe diventare un best seller, perché dai suoi libri è stata tratto un film televisivo con Sophia Loren, che verrà trasmesso in Canada a novembre e in Italia, su Mediaset, nella primavera 2004. Ma per ora lo scrittore non è ancora riuscito a “tornare in Italia”. Benché ci abbia provato, fino al punto di trascorrere un anno a Firenze per ripulire nell’Arno la lingua dei suoi genitori che parlava, come spesso accade ai figli degli immigrati, con troppe inflessioni dialettali.

È stata una delusione?

“No, però mi sono accorto, proprio stando a Firenze, che ero molto più canadese di quanto pensassi. Uno pensa di possedere una cultura perché ne parla la lingua, ma ci sono gli “aspetti sottili” che sfuggono in continuazione. Mi sono reso conto che in Canada mi sentivo più libero”.
E anche più letto…

“Forse qui avrei dovuto scegliere uno pseudonimo anglosassone”.

Il che l’avrebbe messa a disagio.

“Sì. Tengo molto alla mia italianità. Ho una moglie di origine portoghese, ma cerco di parlare italiano con i miei figli. Non voglio che perdano quella che resta una grande irrinunciabile ricchezza”.

Lei ha dedicato pagine molto belle al suo personale ritorno in Molise in “Passages” una raccolta di testi sulla propria esperienza di immigrato o ex immigrato scritti dai più importanti autori canadesi. Narra la riscoperta anche faticosa di una dimensione che non le apparteneva, di un luogo molto diversa dal ricordo che le aveva trasmesso la sua famiglia. Si è mai sentito “rifiutato”?

“Mi pare che ci sia in voi poca comprensione della diaspora italiana. In Canada, e probabilmente anche altrove, c’è una italianità che non è più la vostra, è diversa, si è sviluppata autonomamente e ha creato una cultura nuova”

E noi, dice, non ce ne rendiamo conto.

“Ho partecipato alle conferenza degli italiani nel mondo: tutto bene, salvo un po’ di sordità. Spesso i rappresentanti ufficiali non volevano capire quel che dicevamo loro. Sembravano più interessati alla diffusione della lingua all’estero che a far rientrare in patria la cultura degli emigrati”.

Tradotto un po’ dovunque, sostanzialmente snobbato in Italia. È questa la situazione?

“Non esageriamo. Quando vengo qui sto benissimo. Però, a pensarci, ancora non conosco di persona nemmeno uno dei vostri scrittori”.

 

 

Corrado Augias, IL VENERDÌ DI REPUBBLICA

 

L’intenso legame tra fratellastri

 

La Fazi, editoriale che ha riscoperto l’italo-americano John Fante, pubblica un altro scrittore di origine italiana. Nino Ricci. Nato in Canada da genitori molisani, Ricci dà con “Il fratello italiano” una storia delicata, misteriosa, molto toccante. Due fratellastri, Vittorio e Rita, si ritrovano e cominciano a frequentarsi. Il legame assume un’intensità che nessuno dei due s’aspettava e Vittorio ne è turbato. Quando Rita s’allontana, lui decide di tornare in Molise alla ricerca delle sue radici. Ma nel povero paese dei suoi genitori aggrappato all’Appennino niente fa rivivere i sogni e le memorie che per tanti anni ha coltivato dentro di sé. Vicenda bellissima e struggente.

 

Renato Minore, IL MESSAGGERO

 

Dal Canada al Molise le impossibili radici

 

Dal Canada la voce di Nino Ricci, quarantaduenne figlio di italiani, che scrive storie di emigranti e di identità perduta, con risvolti autobiografici. “Il fratello italiano” (Fazi, 280 pagine, l’ottima traduzione è di Gabriella Jacobucci) è il capitolo conclusivo della trilogia narrativa che gli ha dato successo. Un sogno cupo con punte barocche accompagna l’impossibile ritorno alle radici molisane di Victor, coinvolto in una complessa vicenda sentimentale con la sorella Rita.

 

IL NUOVO MOLISE
– 06/04/2000

 

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GT ZICCHILLFASCIANOø¨MDNNø¨PT90ø¨IP9ø¨RM114ø¨IP0ø¨UL0.5.0ø¨NL60ø ¨UL60.5.30ø¨MDNBødi Pietro Corsi ¨MDNNø significa ¨MDNIøtrasportare¨MDNNø nella propria lingua un’opera scritta in un’altra.¨IP9,ø Se per questo fosse sinonimo di un semplice esercizio linguistico da parte di chi conosce l’altra lingua, quella cioÉ dalla quale bisogna ¨MDNIøtrasportare¨MDNNø un testo nella propria, il mondo sarebbe pieno di trasportatori-traduttori. Il traduttore che si rispetti deve preoccuparsi non solo di trasportare-tradurre il testo ma anche il cuore, e la poetica, di chi quel testo ha scritto. E’ quello che ha fatto Gregory Rabassa nel tradurre le opere di Gabriel Garcia M·rquez dallo spagnolo all’inglese. Ho letto tutte le opere dello scrittore colombiano sia in lingua originale che in¨MDNBø ¨MDNNøtraduzione italiana ed inglese affidata, quest’ultima, principalmente al Rabassa. E mentre devo dire che deploro e condanno l’affrettata traduzione italiana, non posso nascondere la mia ammirazione per la precisa, studiata, coordinata traduzione inglese che, rispettando lo spirito dell’opera, ne arricchisce la lettura. Nel recensire un’opera dal titolo ¨MDNIøTradurre l’inglese ¨MDNNødi Tim Parks, recentemente pubblicato da Bompiani, Enzo Siciliano riporta un’osservazione dell’autore in cui questi asserisce che lo scopo del suo libro É quello di mostrare ¨MDNIø.¨MDNNø Conclude dicendo che ¨MDNIø.¨MDNNø Io aggiungo che una traduzione É perfetta solo quando raggiunge quel magico momento in cui il lettore riesce ad esercitare ciascuna delle funzioni di percezione dell’organismo umano; e quindi vedere, udire, odorare, gustare e toccare, con gli occhi, con le orecchie, con le narici, con il palato, con le dita di chi ha scritto l’opera. Quando il primo libro di Nino Ricci fu pubblicato in inglese a Toronto (¨MDNIøLives of the Saints, ¨MDNNø1990), ricordo che ne parlai subito con il professore Giovanni Di Stasi, all’epoca impegnato pi÷ nell’insegnamento che nella politica, esaltando l’opera prima dello scrittore molisano-canadese. Nel mandargliene copia, dalla mia residenza californiana, descrivevo il romanzo come perfetto nella sua struttura, sciolto nel sia pur difficile linguaggio di rigorosa estrazione della migliore letteratura di stampo inglese, con personaggi vivi nel cuore di chi legge e verosimili nella poetica del racconto. Dopo aver vinto il <Governor’s Award>, il pi÷ alto riconoscimento canadese, ¨MDNIøLives of the Saints non tard ad entrare nella lista dei best-sellers¨MDNNø e cosÙ vincere altri prestigiosi premi di letteratura, sia in Canada che in Inghilterra. Non so se incoraggiato dalle mie parole, o motuproprio dopo aver letto il romanzo, Di Stasi invit Nino Ricci ad una presentazione presso alcune scuole locali. Il Ricci non manc all’appuntamento e fu cosÙ che questo scrittore d’oltreoceano ci fu presentato nel Molise. Dico tra virgolette per non offendere il Ricci, oggi apprezzato e riconosciuto scrittore di fama internazionale che assieme a Michael Ondaatje (¨MDNIøThe English Patient¨MDNNø), Anne Michaels (¨MDNIøFugitive Pieces¨MDNNø), Margaret Attwood e pochi altri fa onore a Toronto e al multiculturalismo canadese. Il merito della scoperta dell’opera di Nino Ricci in Italia va soprattutto all’ispirazione di Gabriella Jacobucci, professoressa di lettere, che si prese l’incarico di tradurre il difficile romanzo in italiano (¨MDNIøVite dei santi¨MDNNø. Monteleone, Vibo Valentia, 1994). E’, questo, un ¨MDNIø,¨MDNNø come si legge nel risvolto di copertina. Quando lessi ¨MDNIøVite dei santi¨MDNNø telefonai alla Jacobucci per esprimerle la mia ammirazione; ricordo di averle detto che l’opera del Ricci, cosÙ ricca in quel suo <Queen’s English>, era stata ¨MDNIøtrasportata¨MDNNø nel nostro italiano con una perfezione degna del Rabassa, che considero uno dei migliori traduttori di mestiere.¨MDNIø ¨MDNNøNel leggere oggi il terzo romanzo del Ricci¨MDNIø (Il fratello italiano. ¨MDNNøFazi Editore, Roma, 2000) devo dire che anche con quest’opera la Jacobucci ci mette a disposizione una traduzione dalla quale traspare la stessa ricchezza di linguaggio dell’autore, la stessa poetica, lo stesso cuore, svegliando ognuno dei nostri sensi cosÙ com’era nelle intenzioni dell’autore. Basterebbe, per rendersene conto, mettere a raffronto passaggi del testo originale con i corrispettivi passaggi tradotti, ma questo sarebbe un esercizio inutile sia per chi non conosce l’inglese che per quanti lo conoscono. Ci basti invece leggere un passaggio della traduzione, scelto a caso.¨MDNIø ¨MDNIø, guard intorno e dietro come se cercasse qualcosa; poi, invece di proseguire nella direzione di casa sua, svolt verso sud e non la vidi pi÷. Mi colpÙ il pensiero che non avevo idea di dove stesse andando. C’era qualcosa di vagamente incoraggiante in questo, rassicurante, come se lei fosse un personaggio di un libro che si era improvvisamente staccato dalla pagina ed era entrato in una vita segreta, nella quale c’erano altri modi di condurre le cose, altre possibilit·. Senza sapere bene cosa volevo fare, afferrai la giacca e mi precipitai fuori dietro di lei…> ¨MDNNøIn questo passaggio vediamo il protagonista che osserva dalla finestra del soggiorno e siamo immediatamente coinvolti. Come lui, vediamo l’altro personaggio, una donna, che attraversa le chiazze di luce, ed i lampioni che creano quelle chiazze, poi svolta l’angolo e scompare. Il protagonista resta perplesso, e perplessi restiamo anche noi. Ma ecco che scatta una molla: l’io narrante afferra la giacca e si precipita fuori, dietro di lei. E noi con lui. Per cosÙ continuare assieme l’avventura descritta dal Ricci in inglese ed abilmente tradotta dalla Jacobucci in italiano. ¨MDNBø ¨MDNNø

 

Lita Abrami, LA GAZZETTA DEL SUD
– 04/11/2000

“Il fratello italiano” di Ricci

Pellegrinaggio nella coscienza

 

L’uscita in Canada, nel 1997, di “Where she has gone” (“Il fratello Italiano”), dal romanzo dell’italo-canadese Nino Ricci, ha destato l’interesse della critica mondiale, tanto da essere considerato uno degli esempi più interessanti della letteratura inglese contemporanea. In Italia la traduzione di questo straordinario romanzo (Fazi Editore, pp. 281), affidata a Gabriella Jacobucci, giunge dopo qualche tempo, necessario per raggiungere autorevoli consensi da parte delle più prestigiose riviste letterarie, come il Times Literary Supplement e il Kirkus, vincendo numerosi premi, tra cui il Grovenor General’s Award. Tradotto in diverse lingue, “Il fratello italiano” è il capitolo conclusivo della trilogia autobiografica iniziata con “Vite dei Santi” (1990) e seguita da “In a Glass House” (1993). “Il fratello italiano” racconta del ritorno in patria di Vittorio Innocente, “alter ego” dello scrittore. La storia comincia a Toronto dove Vittorio trova Rita, la sorella nata da una relazione adulterina della madre. I due, cresciuti solitari nella cupa famiglia del padre, un contadino emigrato in Canada negli ultimi Cinquanta, si avvicinano l’una all’altra nel tentativo di creare un rapporto fraterno mai raggiunto e di recuperare ciò che resta della famiglia. Due fratelli, due destini diversi, una giovinezza bruciata alla ricerca di un’illusoria felicità; i sentimenti, le ansie e le incertezze di ognuno affiorano quando, dopo anni di lontananza Vittorio e Rita si ritrovano e, superata ogni barriera, scoprono un’autentica, ma breve dimensione umana. Il sentimento che li unirà, infatti, diventerà difficile e complesso, segnando drammaticamente, soprattutto, l’esistenza di Vittorio. Rita si allontana, allora, da Toronto e Vittorio, rimasto nuovamente solo, decide di tornare, dopo vent’anni, a Valle del Sole, in Molise, luogo natio. Raggiunto il paese, il protagonista si accorge che niente corrisponde all’immagine che, per molto tempo, si era potato dietro. In particolar modo, gli sembra impossibile che un luogo così comune, quell’ammasso “mezzo diroccato di case attaccate alla montagna”, possa essere il luogo in cui sono accaduti gli eventi per lui così memorabili della sua infanzia. Ma “il passato è passato, andarci a pensare fa solo male alla testa” e Vittorio lascia definitivamente il paese, per non tornarvi più. Si tratta di un romanzo di scorrevole lettura, coinvolgente nella sua prosa eccezionale e impeccabile, in cui i personaggi vengono introdotti e trattati in maniera attenta e scrupolosa, dimostrando una profonda capacità d’introspezione. spesso, però, appaiono figure piuttosto fragili, dalla personalità indefinita e dall’identità misteriosa, eclissate nella loro stessa esistenza, probabilmente intese come sfaccettature dell’inconscio. Confusioni e ombre, riflessi e proiezioni emergono, infatti, dai racconti dei personaggi di questo romanzo, in cui protagonista è il ricordo. ed è proprio attraverso il ricordo che l’io narrante contribuisce a coinvolgere il lettore, rivivendo percezioni ed esperienze, traducendo il passato in presente. E quindi, il tempo, che anticipando e retrocedendo liberamente, non appesantisce la narrazione, concede ampi spazi alla memoria che permette di trattenere la sensazione degli eventi. Il romanzo, che oscilla tra espansione e concentrazione, ritrae Vittorio alla ricerca di un passato che non esiste più, consegnandosi ai labirinti dell’inconscio per sfuggire all’amara realtà, “lottando contro la coscienza come un nuotatore che rifiuta di tornare in superficie”. Difficile spiegare il vuoto che ne deriva, la desolazione interiore, un’ ”equazione interminabile”, sfociando, spesso in comportamenti ossessivi e paranoici. La solitudine come condanna, o forse come vocazione, è la vocazione dello stato d’animo di Vittorio, l cui impulso di tornare al passato deriva, probabilmente, dalla vacuità del suo presente. L’ “arcano ordine di cose” in cui il protagonista viene immerso, il “silenzio immobile”, l’ ”incorrotto stato di abbandono”, rimandano al misterioso e all’occulto. Il paesaggio come stato d’animo, un luogo in cui non accade niente, tutto è immobile, poiché il passato resta fluttuante nell’atmosfera.

 

Carlo Pagetti, IL MANIFESTO
– 04/01/2000

Il Canada anglofono nella salsa molisana di Nino Ricci

Mia spaesata Toronto

“Il fratello italiano”, terzo atto di una saga dell’emigrazione, mette i piedi in un immaginario geografico ancora tutto potenziale

Il visitatore che si trova nella zona cinese di Spadina Avenue potrà dirigersi verso sud, osservando l’imponente struttura affusolata della C.N. Tower che domina l’orizzonte, e arrivare sulla riva del Lago Ontario, oppure puntare verso nord, per incrociare, dopo una passeggiata non troppo impegnativa, Bloor Street. Girando a destra percorrerà il tratto stradale più elegante della città fino a Bay e a Yonge Street, girando a sinistra raggiungerà presto Bathurst, al di là della quale comincia Little Italy. La città è Toronto, la metropoli canadese dell’Ontario, dove vivono più di 300.000 persone che hanno ancora la nazionalità italiana. Toronto non è New York, o Chicago, o San Francisco, perché non esiste ancora nella dimensione dell’immaginario urbano che dalla letteratura è filtrata nel cinema o nella televisione. Questo costituisce la difficoltà maggiore per lo scrittore canadese metropolitano che vuole affermarsi all’estero; ma lo stesso scrittore – soprattutto se proveniente dall’Europa, dall’Asia, dall’America latina, come succede spesso in Canada – dovrà anche comunicare ai propri lettori nord-americani il senso di un linguaggio, di una tradizione, a cui egli è ancora legato. Nino Ricci, il più importante romanziere italo-canadese degli anni novanta, ha osservato/ “in Canada, non penso che noi abbiamo realmente esplorato il modo in cui l’esperienza dell’immigrazione cambia le persone quando si muovono da un paese all’altro. E’ più facile limitarsi a commentare la differenza dei cibi e le danze etniche, piutosto che capire realmente quello che passano le persone quando emigrano. In Canada, c’è stata una tendenza a banalizzare”. E – si può aggiungere – a rimuovere gli aspetti più traumatici dell’emigrazione, tanto è vero che solo di recente è stato trasformato in un museo un molo abbandonato di Halifax, in Nuova Scozia, il Pier 21, approdo delle navi cariche di europei in cerca di una nuova patria sopratutto negli anni cinquanta-sessanta. Ricci, che è nato nel 1959 nell’Ontario da genitori molisani, ha ricostruito in una trilogia la saga di Vittorio, ovvero Victor, un italo-canadese, sradicato a sette anni dal paese di Val di Sole e immesso faticosamente nella realtà canadese, tuttavia spinto dalla propria inquietudine a soggiornare in Africa, e infine a ritornare in Italia per confrontarsi col proprio passato. Il terzo libro della trilogia, che esce da noi con il titolo “il fratello italiano” (Fazi editore, pp. 281), conferma una maturazione letteraria affinatasi di opera in opera. Se un’eco limitata aveva avuta la traduzione el primovolume “Vite dei Santi” – mentre il secondo, “In a glass House” non è arrivato da noi – è tempo che in Ricci la nostra cultura riconosca il rappresentante maggiore di una narrativa che, pur utilizzando la lingua inglese, non ha però reciso le radici italiane. essa va studiata come la produzione italo-statunitense dei Di Donatoe dei Fante. Che ormai esista una intensa e consapevole cultura italo-canadese lo testimonia l’attività di Guernica, vivace casa editrice di Toronto diretta da Antonio D’Alfonso, che nel ‘99 ha pubblicato “The Anthology of Italian-Canadian Writing”, in cui Joseph Pivato ha raccolto alcuni significativi contributi: accanto a Ricci troviamo le voci poetiche di Pier Giorgio Di Cicco, nato ad Arezzo, e di Mary Di Michele, nata a Lanciano, in Abruzzo. Lungi dall’abbandonarsi a una vera nostalgia o sentimentale, questi autori esplorano lucidamente la difficoltà di chi oscilla tra mondi e linguaggi diversi, avendo perduto l’identità delle origini, senza potere o volere appropriarsi totalmente della nuova realtà, a sua volta sfilacciata e ibridata da un intreccio etnico-culturale, che fa del Canada uno dei paesi più potenzialmente utopici, ma anche più “fragili”, del pianeta. Nel “Fratello italiano” la storia di Vittorio-Victor, rivissuta attraverso le vicende familiari, diviene emblematica di questa condizione di precarietà spirituale e psicologica. Dopo la morte dei genitori, Victor si riavvicina alla sorella Rita, venuta alla luce durante il viaggio transatlantico, frutto di un legame adulterino della madre: tra i due si stabilisce un rapporto affettivo dominato dall’ambiguità. Nel raccontare la sua attrazione per Rita, l’inevitabile scissione tra i due, la ricerca di una risposta impossibile con il ritorno al paese nativo, fino al tentativo di suicidio, e al nuovo esilio in Africa, Vittorio inscena il dramma di un’esistenza senza speranza di maturità. Rievocando un episodio dell’infanzia italiana vissuto assieme all’amico fabrizio, egli sottolinea di aver provato un curioso senso di disorientamento: “l’innaturalezza della cosa era come una misteriosa trasgressione, una linea di confine tra assoluti che avevamo cancellato”. Questo senso di incertezza, di irrealtà, insegue il personaggio per tutto il romanzo. Costruito con un linguaggio radicato nella realtà metropolitana di Toronto, che ci appare con le sue strade e i suoi quartieri “downtown”, a cui si contrappone la natura aspra del paese natio, l’ultimo romanzo di Ricci smorza una tendenza al sensazionalismo melodrammatico (ma la cultura degli italo-canadesi è anche questo) nella descrizione di sottili tensioni interiori, ben al di là della semplice annotazione sociologica, per darci un convincente ritratto di “uomo in bilico”, destinato all’esilio perpetuo e alla eterna confusione dei ruoli e dei sentimenti. Accennavamo alle difficoltà del lettore italiano a visualizzare il paesaggio canadese. Anche la valorosa traduttrice del “Fratello italiano” ha le sue gatte da pelare quando “spedisce” un personaggio gravemente malato da Toronto a Londra: si trata ovviamente di London, città dell’Ontario che nulla a che fare, eccetto che per l’origine del nome, con la Londra storica. L’ambiguità semantica, seppure tema centrale della trilogia di Ricci, è qui del tutto involontaria.

 

Miska Ruggeri, IL GIORNALE

 

Viaggio a ritroso di un emigrante

 

E’ nato oltre oceano, figlio di italiani, e scrive storie di immigrati e di radici perdute, piene di elementi autobiografici. L’italo-canadese Nino Ricci, nato a Leamington, 41 anni fa, si è laureato in letteratura inglese, ha studiato un anno a Firenze , insegna scrittura creativa. La critica lo applaude, i premi vinti con “Lives of the Saints” (1990) non si contano, il Pen canadese lo ha visto presidente; Tutto ciò si riflette puntualmente nel modo di scrivere: il suo stile lirico, raffinato, persino barocco in certe descrizioni di sogni e paesaggi urbani è agli antipodi da quello essenziale, è ben più incisivo, di John Fante. tuttavia Ricci, di cui Fazi ha appena pubblicato “Il fratello italiano” (Where she has gone, 1997), capitolo finale di una trilogia dedicata alla vicende della famiglia Innocente, conosce il proprio mestiere e sa come affascinante il lettore. La madre di Vittorio Innocente è morta dando alla luce sulla nave diretta da Napoli in Canada una bimba dagli occhi blu, Rita, frutto di una relazione adulterina; il cupo padre, alcuni anni più tardi si è lasciato annegare. rimasto solo, il ventisettenne Vittorio, di ritorno dalla Nigeria, cerca di instaurare con la sorellastra quel rapporto fraterno che non hanno mai avuto. Ma ben presto il sentimento si muta in qualcosa di più complesso e drammatico. Una gita alle cascate del Niagara, rende evidente che “un confine era stato varcato”: si baciano e si amano. Gli inevitabili sensi di colpa li dividono ancora. Rita parte per un tour europeo con un tedesco molto più vecchio di lei, Vittorio decide di tornare in Molise. A Valle del Sole, ritrova la casa natale, quella del nonno, podestà ai tempi del fascismo, la stalla dove incontrava l’amante, l’amico d’infanzia. Ma nonostante le domande, il passato risulta inafferrabile, i ricordi non combaciano con le risposte, le varie versioni dei fatti si sovrappongono e contraddicono. Soprattutto, “non era possibile che tutta la storia potesse essersi svolta in questo ammasso mezzo dirupato di case attaccate alla montagna”. Chi era il padre di Rita? La risposta pare giungere insieme alla sorella e al suo strano compagno di viaggio. Ma forse è meglio non cercare di saperlo: “la lingua sembra a volte uno strumento così rozzo, che nasconde tanto quanto rivela”.

Il fratello italiano - RASSEGNA STAMPA

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