Filippo Tuena

Tutti i sognatori

COD: eccbc87e4b5c Categorie: , Tag:

Collana:
Numero collana:
25
Pagine:
272
Codice ISBN:
9788881121069
Prezzo cartaceo:
€ 14,00
Data pubblicazione:
01-04-1999

Roma, 1943. Una famiglia borghese di origine elvetica assiste da una privilegiata posizione di neutralità agli sviluppi della guerra in corso. Tuttavia, con l’occupazione tedesca della città, appare evidente che ormai ogni abitante di Roma è inevitabilmente coinvolto in una guerra che giorno dopo giorno assume aspetti sempre più confusi e drammatici. Su questo sfondo storico, accuratamente ricostruito e magistralmente reinventato da Filippo Tuena, si svolgono le vicende di Luca e Maria; lui abile e giovane antiquario che arriverà a sostenere una lotta solitaria contro chi sta distruggendo il suo mondo, l’altra che evade in una dimensione di sogno dove la morte non può arrivare.

TUTTI I SOGNATORI – RECENSIONI

 

Franco Cordelli, CORRIERE DELLA SERA-ROMA
– 10/07/2003

 

Gli sposi musicali della”Tempesta”

 

Filippo Tuena, romano del 1953, è autore di questo libretto, “La tempesta” tratto da William Shakespeare, che ho tra le mani e che osservo mentre lui stesso con generosità lo illustra. E’ fiero del testo, suppongo, ma si riferisce proprio all’oggetto. Poi si abbassano le luci, il vociante e numerosissimo pubblico del Parco dei Daini si quieta, entrano in scena i musicisti e il direttore e compositore dell’opera jazz, Massimo Nunzi. A rapidissimi passi Filippo Tuena si allontana e, avendo dichiarata la sua sopraggiunta fine di responsabilità, si mette su un lato della platea a scattare foto. Ciò che accade sulla scena non lo riguarda, è uno spettatore come noi. Ma spettatore di cosa? Avevo incontrato Tuena due volte. La prima in una festa offerta dal suo editore Fazi; la seconda, in modo molto più fortuito, in un ufficio postale. Facendo la fila, Tuena mi aveva parlato della sua “Tempesta”: che è una riscrittura totale, di Shakespeare non vi sono che i nomi dei personaggi e lo schema dei rapporti tra di loro. Ciò che all’autore interessa è Miranda. Ma ciò che ancor più gli interessa, poiché non è manifesto, è lo sposo suo, Ferdinando. Miranda, come altri personaggi shakespeariani, in altre opere, in altri contesti, la incontriamo avanti nel tempo, ore ha quarantatré, quarantaquattro anni. La giovinezza è finita, lamagia del padre Prospero è svanita. Ferdinando le appare nella sua inermità. L’ha resa felice? Quel loro matrimonio è stato un giusto matrimonio? Si direbbe di no. Miranda è corrosa dalla nostalgia, rivivono i tempi passati, rivive Milano, rivive il tempo del rapimento, quando Prospero e Miranda furono imbarcati su un battello che, percorrendo i Navigli e il Po, giunse fino al mare, soprattutto rivive e persiste il ricordo di Calibano. Ecco. Calibano è l’occasione perduta, è il sogno; è forse il sogno nel sogno. Ma se Miranda si strugge, Ferdinando è l’uomo che lei immagina? Niente affatto. “Mi pensa addormentato. D’animo tranquillo mi crede. / Forse perché il tempo mi ha imbolsito. Forse perché / col tempo, il mio respiro d’amante s’è tramutato / nel pesante ronfare d’un compagno notturno. / Ogni notte invece io spio la sua malinconia”. Il vero protagonista della Tempesta di Tuena è Ferdinando: che altro facciamo se no spiare l’altrui malinconia, nella quale, com’è inevitabile, si riflette la nostra? Spiamo la malinconia, nostra e dei nostri compagni di ventura; spiamo cioè il tempo che passa; lo ascoltiamo passare: poiché osservare equivale, in ultima istanza, ad ascoltare. Ed è così che il suono diventa l’unico attore della Tempesta, la tempesta della vita di ciascuno. Ed è il suono (un tempo) dal quale il pubblico appare travolto: è un suono lacerante di clarinetto, di tromba e trombone; ma è anche un suono cupo, un sottofondo ossessivo, un suono di contrabbasso, dal quale emergono come lamenti d’oltretomba, le voci dei due cantanti, Niccolò Fabi e Ada Montellanico. Di fronte a questa nuova “Tempesta” musicale non ho titoli per emettere giudizi. E poi non si tratta di emettere giudizi. Ma da quel rombo di mare e di sogni in esso perduti sono stato travolto, come ogni altro spettatore del Parco dei daini: come accade di fronte alle opere che non si dimenticano.

 

Corrado Augias, IL VENERDÌ DI REPUBBLICA

“Tutti i sognatori” di Filippo Tuena. Una storia d’amore ai tempi dell’occupazione nazista.

Sogni e delitti nella Roma del ‘43

 

Filippo Tuena pubblica un romanzo ambientato a Roma durante l’occupazione nazista del 1943-44: “Tutti i sognatori” (262 pagine, lire 28.000 – Fazi). In sostanza è una storia d’amore così riassunta dallo stesso autore: “Lui, Luca, era un ricco antiquario che, per una serie di circostanze, entrava a far parte di un gruppo partigiano anarchico e finiva ucciso alle Fosse Ardeatine. Lei, Maria, se ne innamorava e riusciva, attraverso i sogni, a mantenere una relazione con quel morto”. La trama non esaurisce certo il libro perché Tuena riesce come raramente avevo letto a rievocare attraverso allusioni e fatti intensamente evocativi, l’atmosfera generale di quei mesi, tra i peggiori che Roma abbia vissuto durante il secolo, compresi i dettagli, le abitudini di vita, i tic, le paure e insieme il disperato coraggio, lo spirito di sacrificio, l’inaspettata solidarietà di cui i romani dettero prova. Una popolazione nota al luogo comune mondiale per scetticismo e neghittosità, seppe dare allora tutto il meglio e tutto il peggio di sé. Balenano in queste pagine le figure odiose dei delatori, i momenti atroci della razzia nel ghetto (16 ottobre 1943) durante la quale 1030 ebrei romani vennero trascinati ad Auschwitz, il coraggio quasi dissennato dei partigiani. Con una tecnica nota, l’autore intercala al racconto un “catalogo dei giorni” nel quale evoca e scandisce le date e i fatti significativi consegnati ormai alla storia. Un romanzo così riesce a vibrare solo se motivato da una di quelle emozioni che, provate dai bambini, segnano per la vita. Tuena è stato mosso da un sentimento di questo tipo, nel suo romanzo si sente.

 

F.L.P., LA REPUBBLICA

 

CON FELLINI VOLEVA GIRARE “LE ROSE”

Le opere e il soggetto proposto al regista nel 1957

Lo sapevate che John Fante propose un soggetto a Fellini nel ’57 per un film intitolato Le rose? Questo immigrato di seconda generazione è stato scoperto in Italia tardi e sulla scia di una moda francese. Anche se, a onor del vero, bisognerebbe ricordare alcune solitarie traduzioni di Vittoriani negli anni Quaranta nella collezione della Medusa oltre all’inclusione di un racconto nella famosa antologia Americana. Ma oggi, forse per recuperare tanto tempo perduto, sono ormai disponibili nella nostra lingua quasi tutte le sue opere. A cominciare dal ruolo – pilota svolto negli anni Ottanta da Sugar – Co e Leonardo e dalla collana mondadoriana Ottagono, poi la trilogia del tenerissimo Bandini, e cioè Aspetta primavera, Bandini, Chiedi alla polvere e infine “La strada per Los Angeles”, tutti editi da Marcos y Marcos e composti quasi come ballate romanzesche, autentici blues metropolitani. Lo stesso editore ha fatto uscire il capolavoro “La confraternita del Chianti”, “Dago Red” (racconti), “Sogni di Bunker Hill”, e il recentissimo “Il Dio di mio padre” (racconti). Mentre a Fazi va il merito di aver stampato “Un anno terribile”, “Ad ovest di Roma” e ora “Una vita piena”. Sellerio dieci anni fa ha pubblicato “Una moglie per Dino Rossi”. Fante viveva, con alterne vicende, soprattutto delle sceneggiature che scriveva per la Paramount e per la Columbia, come dice in “Una vita piena”, mentre come scrittore non sempre ebbe adeguato riconoscimento, anche se forse non fu proprio “il narratore più maledetto d’America”, come lo definì il fedelissimo Bukowski ( di questo “maledettismo” testimoniano l’alcolismo, l’attrazione per il gioco d’azzardo e le improvvise intemperanze). I suoi temi ricorrenti sono, oltre alla famiglia abruzzese e l’autoritratto di una seconda generazione di immigrati, la religione cattolica, le avventure sessuali e gli amori impossibili, l’incontro (ora difficile ora piacevolissimo) tra gruppi etnici diversi, il rapporto con i libri, il baseball e i sogni di gloria. Mentre il tono oscilla sempre tra ironia dolceamara e visione piuttosto aspra dell’esistenza.

 

GAZZETTA DEL SUD

 

Filippo Tuena e Michael Cunningham supervincitori del Grinzane Cavour

 

Un omaggio a Virginia Woolf e una storia d’amore ambientata nella Roma del ‘43, costituiscono le trame delle due opere “supervincitrici” della 19/a edizione del Premio Grinzane Cavour: “Le ore” (Bompiani) di Michael Cunningham e “Tutti i sognatori” (Fazi) di Filippo Tuena. Il romanzo di Tuena, un esempio di commistione di generi, tra lo storico, l’autobiografico e il fantastico, si svolge a Roma tra il ‘43 e il ‘44 e racconta la passione amorosa tra Luca, un antiquario che fa fortuna grazie a principi decaduti e marescialli delle SS, e Maria, una giovane che per superare l’odio che le sta attorno, si rifugia nel sogno dove la morte non esiste. Il romanzo del californiano Cunningham, “Le ore”, che ha già vinto il premio Pulitzer e i cui diritti cinematografici sono già stati acquistati da Alan Parker, è una sorta di inno a Virginia Woolf. Racconta, con finale a sorpresa di tre donne che vivono in anni diversi: la stessa Woolf prima del suicidio, Clarissa che fa la editor a New York dove prepara una festa per un amico che sta morendo di Aids, e Laura, una casalinga californiana. La cerimonia della premiazione, con il sottofondo musicale del Lou Dalfine, si è svolta ieri in una caldissima giornata di sole al castello di Grinzane, nelle alte Langhe, territorio al quale il presidente del premio Giuliano Soria è molto legato. Inge Feltrinelli ha sottolineato che “il Grinzane è l’unico premio che coinvolge anche scrittori stranieri”. Tra i premiati di quest’anno c’è anche Jounis Tawfik, come esordiente, scrittore irakeno da anni residente a Torino dove si occupa in prima persona dei problemi legati alle difficoltà di integrazione degli extracomunitari e in particolare della zona di Porta Palazzo. Per la narrativa italiana il secondo premio è andato a Luca Doninelli con “La nuova era” e il terzo a Laura Pariani con “La signora dei porci”. Per la narrativa straniera, secondo posto a Ursula Hegi con “Come pietre nel fiume” e terzo a Tahar Ben Jelloun con “L’albergo dei poveri”.

 

LA RINASCITA DELLA SINISTRA

il premio Grinzane Cavour

Gli studenti decidono il verdetto

 

“Oggi vedo in pericolo la nostra democrazia”. parole dure quelle che il filologo e critico della letteratura Cesare Segre ha pronunciato in occasione del riconoscimento che il Premio Grinzane Cavour gli ha attribuito (sezione saggistica) per il volume “Per curiosità – una specie di autobiografia (Einaudi) in cui Segre traccia con rigore e ironia la vicenda di un ragazzo ebreo che deve fuggire dalle violenze fasciste e che, con la liberazione, si getta con passione agli studi e alla letteratura senza dimenticare le contraddizioni sociali e politiche. “Ho le stesse preoccupazioni di Segre” ha ribadito il ministro dei lavori pubblici Nero Nesi che, con il ministro Livia Turco, ha preso parte alla cerimonia finale della XIX edizione del Premio Grinzane Cavour che oltre che Montalbàn e Segre ha dato riconoscimenti anche a Gian Piero Bona (premio traduzione) e Younis Tawfik (premio autore esordiente per “La straniera”, Bompiani). Supervincitore della sezione narrativa italiana è stato Filippo Tuena per “Tutti i sognatori (Fazi), una storia ambientata nella Roma del ‘43-’44, mentre per la narrativa straniera ha vinto, a sorpresa, Michael Cunningham per “Le ore” (Bompiani), un romanzo dedicato a Virginia Woolf che ha scavalcato sia il volume di Ursula Hegi (Come pietre nel fiume, Feltrinelli) sia Tahar. Ben Jeloun, superfavorito, con il suo “Albergo dei poveri” (Einaudi). Anche quest’anno, come sempre avviene al Grinzane Cavour, determinanti sono stati i voti della giuria degli studenti (di scuole di tutta Italia e di istituti italiani all’estero) che hanno espresso il loro favore in maniera a volte sensibilmente diversa da quello della giuria dei critici presieduta da Lorenzo Mondo.

 

Dina D’Isa, IL TEMPO

Il premio dei liceali

I sognatori di Filippo Tuena vincono a sorpresa il Grinzane

 

Con una notevole distanza dagli altri due romanzi in concorso e con 131 voti, il libro “Tutti i sognatori” (Ed. Fazi) di Filippo Tuena ha vinto a sorpresa il Premio letterario Grinzane Cavour nella sezione della Narrativa Italiana. Il secondo posto è stato assegnato a Luca Doninelli (83 voti), con “La nuova era” (Garzanti) e il terzo a Laura Pariani (34 voti) con “La signora dei porci” (Rizzoli). Per la narrativa Straniera il premio è stato invece consegnato allo statunitense Michael Cunningham per il romanzo “Le ore” (Bompiani), seguito da “Come pietre nel fiume” (Feltrinelli) della tedesca Ursula Hegi e da “L’albergo dei poveri” (Einaudi) di Tahar B. Jelloun. “Pur essendo uno storico di arti figurative del Cinquecento, non posso fare a meno di alternare opere di narrativa a studi specialistici – ha dichiarato Tuena. Come nei due precedenti romanzi, anche stavolta non ho resistito alla tentazione di coniugare ghost-story e cenni biografici. Non mi sento legato ad un particolare genere letterario, sebbene alla fine prevalga in me la vena fantastica perché non ce la faccio a restare attaccato al reale. La trama racconta fatti di cui ho sentito parlare tante volte a casa mia: a Roma durante l’occupazione tedesca, una famiglia svizzera e proveniente quindi da un paese neutrale, conduce una vita tranquilla finché la figlia si innamora di un partigiano e questa passione coinvolge tutti i suoi familiari nel pathos della guerra”. Dopo le recenti polemiche del Campiello, che senso ha avere oggi un riconoscimento letterario in Italia, se poi quasi tutti i premi sono politicamente manovrati? “Al Grinzane Cavour la scelta del vincitore è affidata alla lettura dei liceali – ha risposto Tuena. Questo fa capire quali saranno le letture preferite dalle prossime generazioni. Il senso di un premio letterario nasce dal confronto, non della gara ma delle idee, che possono finalmente scambiarsi gli scrittori: è questo che trovo stimolante. Non vedo altre qualità, tanto meno quelle commerciali, considerando poi che il pubblico preferisce gli stranieri, e il mercato gli va dietro. Così, anche se esistono eccellenti scrittori italiani, i nostri libri vengono emarginati”. Nel cuore delle Langhe albesi, tra le antiche sale del Castello Grinzane Cavour, si è così conclusa ieri la diciannovesima edizione dell’omonimo Premio letterario promosso dalla Regione Piemonte. I voti delle giurie scolastiche, dislocate in undici città italiane, a cui si sono aggiunte le giurie all’estero attivate presso i Licei italiani di Bruxelles, Buenos Aires, Parigi, Praga e presso le Università di Mosca, Salamanca e del Connecticut (Usa), hanno designato i due supervincitori delle sezioni di narrativa italiana e straniera, nella rosa dei tre autori già scelti e presentati lo scorso gennaio dalla giuria dei critici, tra cui spiccano nomi illustri letterati, quali Maria Corti, Vincenzo Consolo, Daniele Del Giudice, Giuseppe Pontiggia e Francesca Sanvitale. Grande attenzione è stata data al vincitore del Premio Internazionale – “Una vita per la Letteratura”, lo scrittore Manuel Vàzquez Montalbàn: che scriva poesie o manuali gastronomici, racconti del terrore, guide turistico-intellettuali o pamphlet, questo autore – diventato famoso per l’invenzione di Pepe Carvalho, il detective protagonista dei suoi gialli – narra un’unica grande storia, quella di una generazione che osserva con occhi disincantati la nuova Spagna. Nelle altre sezioni sono stati assegnati il Premio di Traduzione a Gian Piero Bona, il Premio Saggistica d’Autore a Cesare Segre e all’iracheno Younis Tawfik, il Premio Autore Esordiente a “La straniera” (Bompiani).

 

Giuseppe Amoroso, LA GAZZETTA DEL SUD
– 07/04/1999

“Tutti i sognatori”, romanzo di Filippo Tuena

Malinconie e speranze tutto il male della vita

 

Un rapporto informativo di polizia, dell’agosto del ‘43, sugli abitanti di uno stabile romano, dà al romanzo di Filippo Tuena “Tutti i sognatori” (Fazi, pp. 264) una luce minacciosa, traboccante di sospetto e un severo e preoccupato punto di partenza. Non sono sufficienti un chiassoso litigio tra fratelli, i giovani Maria e Massimo, e un vaso di cristallo di Boemia infranto a dissipare quella tensione depositata da un racconto essenziale, secco, limitato da una cronaca referenziale troppo neutra per non destare il dubbio di una realtà trafitta di fenditure, vicinissima al suo risvolto d’ombra. Parole e fatti di oggi giorno sembrano coprire silenzi grandissimi, la trama di qualcosa che circonda quel tempo e quel luogo, fragile isola nell’oceano della guerra. Tuena descrive, indugia sui dettagli, riprende il cammino regolare di un’osservazione che incasella nozioni, classifica i dati più significativi, offre al lettore l’impressione che gli eventi, fin dal primo anello della catena romanzesca, stiano per scattare, con la naturalezza di un bollettino, flessibile e come cifrato, che può accartocciarsi, coprirsi di pieghe, increspare la superficie levigata e flessibile in un reticolo di segni di ben più sconvolgente affanno. Malinconie e speranze, il male della vita, le violenze del tempo non hanno l’obbligo di esposizioni gridate, espanse, tinteggiate di colori vistosi: possono rivelarsi, senza alcun preavviso, da una parola rubata agli altri, da un innocuo motivo. Così a Luca, antiquario che sta valutando, nella casa di un principe caduto in cattiva sorte, il pregio di un oggetto antico, arriva fulmineo il pensiero della moglie Ruth che, morendo, gli ha lasciato un consistente patrimonio e una grande solitudine. E’ un “fantastico viaggio verso il desiderio”, il lavoro di Luca, preso dal bisogno di toccare qualsiasi traguardo, di acquistare qualsiasi opera d’arte da mostrare nella sua elegante galleria di via del Babuino. Una dimensione di mondanità, di cose preziose, di giorni sognanti e distratti annega nel tempestoso clima di una Roma dichiarata Città Aperta e colpita da scontri feroci, dalla retata nel ghetto e dall’ordinanza di Kesserling. in una fedele ricostruzione storica Tuena dispone i percorsi dei suoi personaggi, amplia, attraverso altre storie, l’orizzonte cupo del racconto, si sofferma sulla figura di Fritz, commerciante di antichità, e sulla sua famiglia, cura con precisione alcuni microeposodi e compone un sottofondo dolente, una musica fioca e suggestiva alla quale si rivolge ogni scena, ricavandone una specie di alone, un fioco e resistente rimbalzo di richiami. E allora il documento più asettico sembra quasi assumere un ritmo di ballata, farsi motivo di quella rapsodia in cui trovano il giusto accordo ante voci e suoni e note di varia intonazione. Non mancano vicende minori, pezzi di colore, qualche inflessione sentenziosa, l’indignazione dell’autore e lo sguardo rivolto a captare la gioventù che “sfiora la vita” e crede che il “macigno” non gli cada mai addosso. Vi sono momenti in cui la narrazione, adottando misure estremamente contenute e tagli secchi negli sconvolgimenti degli intrecci, pare avvicinarsi a una scansione di tipo neorealistico: non già un recupero di scaduto moduli espressivi, bensì una naturale esigenza di essenzialità e lindura, interrotte, qua e là, da una leggera pronuncia di sentimenti più esposti, dalla sottolineatura controllata di emozioni che transita, priva di frizione, da Tuena alle sue creature. Come se lo scrittore pensasse ad alta voce, come se leggesse appunti brulicanti di saggezza, anche nella sorpresa, sia pur modesta, di una misteriosa congiunzione tra il creato e gli esseri umani. Sicché, nel profondo dei sogni di Maria, innamorata di Luca, si cela “uno dei tanti artefici notturni dell’universo”. Rispondendo a un’alternanza di concitati eventi reali e di delicati studi psicologici, il romanzo annovera un drammatico “catalogo dei giorni” (dal comunicato di Badoglio all’occupazione di Campidoglio da parte degli Alleati) e la storia di Luca, che si avvia verso una scelta fatale, e di Maria, che si riserva un suo fragile spazio di sogni nei quali Luca viene a parlarle nell’assoluta libertà che solo le ombre impalpabili possono avere. e giungerà, dopo la fine di tutto, dopo le stragi, la distruzione e le barbarie, una bella giornata d’autunno: ma nella sottile aria d’ottobre, forse una voce che chiama è ancora la voce di un sogno. “Sospesi” nel tempo, ora a contemplare il “Vuoto”, ora a sentirsi “come un bambino appena nato”, i personaggi si affidano a un arioso respiro di favola che assorbe ogni spigolo dell’asperità della vita e che, pertanto, non sopporta per intero certo accostamento alla sponda pericolosa di una tesi ideologica marcata, di un’ottica che stentatamente viene a patti con la fantasia. Di conseguenza, è un po’ forzato l’atteggiamento dello scrittore in cui vuole mettere in evidenza la sua volontà di “donare un’ignobile sorte” a un personaggio che ha il peccato di aver scelto la parte sbagliata.

 

Giuseppe Pederiali, ITALIA OGGI

 

A Roma dopo l’8 settembre

Storia personale, no politica, con tanta realtà

Lo avevamo lasciato alle prese con i lupi mannari e i diavoli delle sue due recenti opere narrative, di ispirazione gotico-fantastica (“Cacciatori di notte” e “Il diavolo a Milano”), ed ecco Filippo Tuena di nuovo in libreria con un romanzo di tutt’altro genere, anche se belve e diavoli, a guardar bene, non mancano: “Tutti i sognatori” (Fazi Editore, 262 pagine). Siamo a Roma, nel 1943, con i tedeschi che occupano la città, i bombardamenti, la guerriglia dei partigiani, le rappresaglie, le deportazioni degli ebrei, la fame e tutto il resto che un’atroce guerra (diventata anche guerra civile) comporta. Su questo fondale storico, ricostruito con passione e una magistrale attenzione anche per i particolari (abiti, auto, sigarette e tutto il trovatorato che rende credibile ogni scena), l’autore ha incastonato la vicenda dei protagonisti del romanzo vero e proprio: il giovane antiquario Luca, vedovo (sua moglie Ruth era una ricca ebrea), deciso a combattere contro chi sta distruggendo il suo mondo e i suoi ideali, e la dolce Maria, innamorata di Luca e decisa a rifiutare le violenze che la circondano rifugiandosi in una dimensione di sogno. Filippo urna ha ricostruito la parte storica con la passione e l’estro artigianale di un restauratore di mobili antichi. L’aver fatto per molti anni l’antiquario, nel cuore della Roma più aristocratica, gli è servito anche a prendere confidenza con l’interno delle dimore signorili che qui descrive con tanta accuratezza. esemplare il brano della visita di Luca al principe che ha bisogno di quattrini e vende un altro pezzo dei mobili di famiglia per pagare i debiti di gioco. Ma da buon antiquario, Tuena fatica a buttar via ciò che avanza. Finita la ricerca sui documenti, i giornali dell’epoca, le fotografie, le testimonianze dirette e tutto ciò che gli era servito a creare gli scenari e le atmosfere, si è ritrovato, praticamente già sulla carta, una storia di Roma dal giorno 8 settembre 1943 (alle 19,45 viene trasmesso dalla radio il comunicato di Badoglio che informa dell’avvenuto armistizio, e dal ponte della Magliana avviene il primo scontro a fuoco tra i tedeschi e reparti dei granatieri di Sardegna) fino al giorno 5 giugno 1944 (quando gli Alleati occupano il Campidoglio, e sulla via Salaria muore Ugo Forni, probabilmente l’ultima vittima dell’occupazione tedesca di Roma). A questo punto, pur di non rinunciare a questo materiale saggistico, Filippo Tuena lo ha inserito nel romanzo in tre capitoli intitolati “Catalogo dei giorni”. e ha fatto benissimo: la contaminazione tra parte narrativa rende il libro particolarmente suggestivo, anche perché, giusto come si fa nel restauro delle opere d’arte, le parti storiche e le parti inventate sono chiaramente distinguibili, seppure complementari. Naturalmente è soltanto una nostra ipotesi: può darsi che l’autore abbia fin dall’inizio progettato questa simbiosi, comunque sia il risultato è eccellente. Oltre al suddetto minuzioso, asciutto, drammatico Catalogo-cronologia (“23 ottobre, viene fucilato il cappellano militare tenente Don Giuseppe Buttarazzi… “), nel romanzo appaiono anche dei rapporti scritti da informatori della polizia, d’invenzione ma ricostruiti sulla base di documenti reali. ecco come la spia Businco Archimede riferisce di Luca: ”… Trattasi di facoltoso antiquario di via del Babuino che deve il suo successo alle ricchezze della moglie defunta. Beltrami frequenta gli ambienti dell’aristocrazia e dell’ambasciata germanica. si è sempre disinteressato di politica anche se risulta iscritto al Partito Nazionale Fascista sin dal 1943. Tuttavia il suo matrimonio con donna di razza israelita suggerisce doppiezza di comportamento e pericolosità sociale…”. L’avventura di Luca Beltrami nella Roma occupata, tra principi decaduti e marescialli delle Ss, si trasforma ben presto in una presa di coscienza che lo porterà ad una lotta privata e rabbiosa, fino al sacrificio estremo. si tratta però di una maturazione più esistenziale che politica, e questo distingue il protagonista di “Tutti i sognatori” dagli eroi dei molti romanzi, racconti e film realizzati su questo tema, specialmente in epoca neorealista. Le vicende di Luca e Maria costituiscono il nucleo principale di in romanzo corale dove gli attori più piccoli sono forse i più importanti, anche perché quasi tutti ispirati a personaggi davvero esistiti e, spesso riconoscibili.

 

Gian Paolo Serino, PULP
– 06/01/1999

 

Tutti i sognatori

 

Indifferenti o sognatori? E’ questo il quesito che dilania, come un ordigno che non deflagra, l’anima dei protagonisti del nuovo, intenso e piacevole romanzo di Filippo Tuena, un autore che conferma di essere tra le voci narrative più interessanti degli ultimi anni. “Tutti i sognatori” è ambientato nel 1943, nel cuore di quella Roma “città aperta” occupata dai nazisti che troppo spesso rischia di rimanere imbalsamata tra memoriali gappisti e pellicole cinematografiche ricordate solo per le tecniche necrealiste. Tuena, invece, ha il merito di “riaffrescare” quel periodo storico tenendosi lontano da facili luoghi comuni: la guerra che racconta non deforma i corpi, non strazia e distorce le menti ma, paradossalmente, fa sognare. Tuena racconta il conflitto attraverso gli occhi di una famiglia che gode del privilegio, dettato dalla nazionalità svizzera, della neutralità. Un privilegio raro che potrebbe anestetizzare le coscienze di chiunque. chiunque, tranne i sognatori di Tuena, personaggi che non possono fare a meno di “ricordare” ciò che scriveva Marco Aurelio: “I dormienti sono artefici nel mondo e aiutano a produrle”. I protagonisti di Tuena sono, o in qualunque caso diventano, sognatori perché difendono la bellezza in tempi in cui la gente la ignora. Sono sognatori perché dentro il proprio animo si dibattono sul fatto che non basta non fare del male per essere a posto con la propria coscienza. Per questo, abbandonando la propria “neutralità”, decidono di combattere, di giocare non contro un avversario ma contro il gioco. E il gioco è la guerra, quella guerra che porta gli uomini, qualsiasi divisa essi indossino, a non sapere più se uccidono perché gli altri sono dei nemici o se gli altri sono dei nemici perché si ha solo voglia di uccidere. Attraverso questo gioco, “tutti i sognatori” di Tuena, come certi personaggi di Dostoevskij, sono alla ricerca inconsapevole di una vita autentica da contrapporre alle comodità del conformismo: c’è chi, come Luca, figura centrale del romanzo, per questa ricerca è pronto a morire, e c’è chi, come Fritz (personaggio che per molti aspetti ricorda il Michele de “Gli Indifferenti” di Moravia) “è partecipe dell’insensibilità generale ma conserva abbastanza consapevolezza per soffrire di questa partecipazione”. E’ proprio il finale,dai risvolti onirici,che fa comprendere la bellezza del romanzo e l’abilità del narratore nel non dare risposte ma nel far nascere interrogativi. Anzi, il quesito che deflagra nel cuore dei lettori: indifferenti o sognatori

 

Corrado Augias, LA REPUBBLICA

Una storia d’amore ai tempi dell’occupazione nazista

Sogni e delitti nella Roma del ‘43

 

“Volevo raccontare piccole storie, così come le avevo ascoltate dai miei, ricreare nel lettore la passione che li prendeva quando mamma e papà parlavano di quel periodo. Credo che la mia vena di narratore sia nata proprio in quei momenti: mentre ascoltavo racconti del tempo di guerra”. Filippo Tuena pubblica un romanzo ambientato a Roma durante l’occupazione nazista del 1943-44: “Tutti i sognatori” (262 pagine, Fazi). In sostanza è una storia d’amore così riassunta dallo stesso autore: “Lui, Luca, era un ricco antiquario che, per una serie di circostanze, entrava a far parte di un gruppo partigiano anarchico e finiva ucciso alle Fosse Ardeatine. Lei, Maria, se ne era innamorata e riusciva attraverso i sogni, a mantenere una relazione con quel morto”. La trama non esaurisce certo il libro di perché Tuena riesce come raramente avevo letto a rievocare attraverso allusioni e fatti intensamente evocativi, l’atmosfera generale di quei mesi, tra i peggiori che Roma abbia vissuto durante il secolo, compresi i dettagli, le abitudini di vita, i tic, le paure e insieme il disperato coraggio, lo spirito di sacrificio, l’inaspettata solidarietà di cui i romani dettero prova. Una popolazione nota a luogo comune mondiale per scetticismo e neghittosità, seppe dare allora tutto il meglio e tutto il peggio di sé; Balenano in queste pagine le figure odiose dei delatori, i momenti atroci della razzia del ghetto (16 ottobre 1943) durante la quale 1030 ebrei romani vennero trascinati ad Auschwitz, il coraggio quasi dissennato dei partigiani. Con una tecnica nota, l’autore intercala al racconto un ‘catalogo dei giorni” nel quale evoca e scandisce le date e i fatti significativi consegnati ormai alla storia. Un romanzo così riesce a vibrare solo se motivato da una di quelle emozioni che, provate dai bambini, segnano per la vita. Tuena è stato mosso da un sentimento di questo tipo, nel suo romanzo si sente.

 

Massimo Romano, LA STAMPA
– 08/09/1999

 

Il dinamitardo sognatore nella Roma dei nazisti

 

Il sogno come mezzo per infrangere la barriera sottile ma invalicabile che separa la vita e la morte, con i morti che diventano angeli custodi per i vivi e interlocutori di un dialogo che non è stato possibile interesse prima. E’ questa l’idea che percorre “Tutti i sognatori”, quarto romanzo di Filippo Tuena, quarantaseienne antiquario romano. Questo è un libro diverso dai precedenti, sia per l’ambientazione – Roma durante l’occupazione tedesca, con i duri scontri tra partigiani e fascisti e la retata nazista del 16 ottobre 1943 nel ghetto, con 1030 ebrei deportati ad Auschwitz – sia per il linguaggio, più attento, preciso e sorvegliato, con rari ma efficaci guizzi di metafore. L’idea del romanzo, nata dai racconti che l’autore ha ascoltato da bambino, è esplosa tre anni fa, in “un caldo pomeriggio di luglio” durante un trasloco, come recita la nota conclusiva. La vicenda dura circa un anno, dall’estate del ‘43, con la caduta del fascismo e il Governo Badoglio, al giugno del ‘44, quando gli alleati liberano la capitale dall’occupazione nazista. In un villino ai Parioli, vive una famiglia borghese di origine elvetica, l’antiquario Fritz con moglie e figli, Maria e Massimo. Frequenta la casa un amico antiquario, Luca, vedovo di una ricca ebrea. La loro posizione di neutralità rispetto agli eventi bellici non serve ad evitare il coinvolgimento nel clima di confusione e spaesamento che incombe sulla città. Tuena è assai abile nella ricostruzione dello sfondo storico, dalle finestre delle case oscurate con la carta da zucchero per il coprifuoco alle feste d’ambasciata animate da gerarchi fascisti e nazisti. Assai felice è la caratterizzazione dei personaggi minori, dal sarto Nino, citato anni prima da “Gli indifferenti” di Moravia, il quale, costretto dalla sua fama a confezionare uno smoking per un ufficiale tedesco, si vendica con un brutto taglio e riceve in cambio una damigiana d’olio che si rompe durante il trasporto. la cronaca di quei mesi drammatici, intrisa di scontri cruenti, violenze e torture, lievita in una storia d’amore più onirica che reale, quella tra Luca, agiato antiquario che collabora con un gruppo partigiano anarchico, e compie atti dinamitardi, e Maria, che si innamora silenziosamente di lui e soltanto dopo la sua morte alle Fosse Ardeatine riuscirà a comunicare attraverso i sogni. e’ l’unica risposta ancora possibile per un essere umano di fronte all’odio e agli orrori della storia.

 

Chiara Palazzolo, IL MESSAGGERO

Incubi

Il grido che viene da Via Tasso turba i nostri sogni

 

Un luogo, Roma. Un tempo, l’ottobre del 1943. Un’atmosfera, grottesca e cupissima. In cui si va all’Opera “in tram, vestite da sera. Alle due del pomeriggio” a pochi metri dalla prigione della banda Koch in cui “scuoiano viva la gente”. Roma Città Aperta? Forse aperta solo al vuoto, spalancata sull’abisso di “quel gran nulla che stiamo vivendo”. Non è un romanzo storico Tutti i sognatori di Filippo Tuena, antiquario e raffinato scrittore alla sua prova più impegnativa. Piuttosto una cronaca allucinata dei giorni dell’occupazione tedesca, scandita dalle vicende di una famiglia borghese di origine elvetica. All’indomani dell’armistizio il gaudente Fritz, la fragile Magda, l’antiquario Luca, persino Davide, il medico ebreo, si riuniscono nella villa di famiglia ai Parioli, “sognante e distratta”. Intessono amori e affari. Sorseggiano “del buon vino”. Pensano che la guerra stia per finire. Che possano ancora sottrarsi all’incubo collettivo. Che invece si abbatterà come una cappa plumbea sui bei quadri, sui mobili antichi, su uno stile di vita fatto di riserbo e gusto del bello. La prova di realtà – i rastrellamenti, gli attentati, l’orrore delle Fosse Ardeatine – li lascerà spaesati, confusi, ciascuno in fuga attraverso i propri sogni. Assordati dal grido “No! Le forbici no!” levatosi una notte dalle stanze di tortura di Via Tasso, che penetra acuto gli strati degli anni e della storia, il manto pesante dell’indifferenza, turbando del suo stridore straziato i nostri sonni. E i nostri sogni.

Tutti i sognatori - RASSEGNA STAMPA

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